Spesso sento dei colleghi preti che sprecano aggettivi di ammirazione per gli scritti di San Giovanni, io debbo confessare che, pur sapendo che il Signore ha voluto parlare anche mediante lo stile un po’ arzigogolato e poco immediato dell’apostolo prediletto di Gesù, gli preferisco San Giacomo.
Prima di Pasqua e dopo Pasqua mi sono sorbito le “pappardelle” di San Giovanni, che si ripete continuamente e mi costringe ogni anno di arrampicarmi sugli specchi nei miei tormentati sermoni. Giacomo, che ho letto in quest’ultimo tempo, ha uno stile certamente più rozzo, ma tanto più comprensibile ed efficace; inoltre le argomentazioni del fratello di Pietro non navigano sopra le nuvole, ma sono di una estrema concretezza.
Il cristianesimo di S. Giacomo avrebbe potuto essere preso come testo di riferimento da “cristiani per il socialismo”, dalle Comunità di base, e dai discepoli della Teologia della liberazione, perché i suoi discorsi sulla carità, non sono disquisizioni di lana caprina, ma si rifanno ad un realismo che ti inchioda alle tue responsabilità e fa riecheggiare nella coscienza la domanda perentoria di Dio a Caino: “Dov’ è tuo fratello?”
Mons. Vecchi sembra abbia tradotto S. Giacomo con una battuta quanto mai efficace: “Un fatto vale mille chiacchiere”. Talvolta, osservando la pastorale di certe Parrocchie, mi capita di domandarmi: “Ma questa gente non ha mai letto S. Giacomo?”. Non credo che gli apostoli possano essere considerati come appartenenti a categorie più o meno importanti. Leggiamo pure S. Giovanni, più prolifico di discorsi, ma non trascuriamo S. Giacomo più parco, ma più efficace.
Credo che, leggendo S. Giacomo, si impari cos’è la carità e che cosa sono invece le chiacchiere sulla carità!