Un tempo, quando mi occupavo di Radiocarpini, una delle mie utopie rimaste “incompiute”, mi interessavo quanto mai della Mostra Internazionale del Cinema che ogni anno si tiene all’inizio dell’autunno. Mi ricordo le difficoltà per ottenere il pass per la stampa, perché la nostra emittente non era granché considerata tra i mezzi di informazione. Comunque avevamo il nostro inviato speciale e vari servizi sull’avvenimento.
Ora il mio interessamento è alquanto diminuito, non essendo un patito del cinema, soprattutto perché i servizi della stampa locale, che io seguo un po’, sono sempre infarciti di pettegolezzi sulle dive e sugli attori del momento, spesso eccentrici, montati e superficiali. Quando però la stampa ci ha informato del film fuori concorso di Olmi, il vecchio regista, tra i pochissimi di matrice religiosa, le mie orecchie si sono d’istinto rizzate per capire l’evoluzione del pensiero di quest’uomo di grande spessore umano e religioso.
Ho letto con estremo interesse la critica del suo film “Il villaggio di Cartone” e le interviste che i nostri giornalisti gli han fatto in occasione della proiezione di questo suo film e del Leone d’Oro che gli è stato attribuito per la carriera. La trama del film è quanto mai emblematica: una parrocchia che si “spegne” per mancanza di fedeli, viene spogliata di ogni ornamento e il vecchio parroco, desolato perché viene privato del perché della sua vita, che si sente quasi perduto. Poi la rinascita nella povertà e nell’accoglienza dei nuovi fedeli che giungono da ogni parte del mondo fanno rifiorire la comunità di uomini che ringraziano e chiedono aiuto al Signore.
La “parabola” di Olmi è quanto mai chiara e suona come una denuncia nei riguardi di una Chiesa che si è rifugiata nei riti, nell’ornato e nell’apparato, ma che ormai è priva di linfa vitale, quasi una fonte che si è disseccata e che non è più la “fontana del villaggio” di cui parlò papa Giovanni, alla quale tutti, credenti e meno credenti, possono attingere, dissetarsi e pulirsi.
Leggendo la critica sul film di questo grande regista, m’è venuta l’angoscia che anche questo monito, che ci viene dalla cultura e dal mondo dell’arte, non rimanga inascoltato, lasciato cadere come tanti altri moniti e richiami che ci giungono.