Da un paio di settimane, nonostante le brinate che hanno imbiancato il grande prato a levante del “don Vecchi”, nonostante le fitte nebbie che mi hanno ricordato quei pomeriggi di novembre di quando, giovane seminarista, Venezia si incupiva e l’aria era solcata dai sordi suoni delle navi e dei vaporetti che, guardinghi, solcavano il canale della Giudecca, mi sono accorto che l’erba del parco aveva alzato il capo verde e pareva sorridesse anche al seppur piccolo raggio di sole. Il cuore s’è messo subito in tumulto a battere veloce, sognando primavera!
La dolce stagione m’è sempre piaciuta, ma in questi ultimi tempi, specie quest’anno, la desidero in maniera ardente ed appassionata. Mi sono sorpreso a pregare: «Signore, fammi il dono di poter vivere ancora una volta la stagione nella quale prati, alberi, cielo ed uomini si vestono a festa con una eleganza ed un’armonia che appaga gli occhi e il cuore»
Com’è bella primavera! Come mi spiace non aver assaporato lentamente e con soave ebbrezza le ottantun primavere che il Signore mi ha donato, dando per scontata questa sinfonia di colori ed atmosfere inebrianti!
Monsignor Vecchi era solito ricordarmi che una cosa vale di più in misura che ce n’è meno a disposizione. Ora comprendo più che mai questa verità e sento giunto il bisogno di gustare, centellinando ogni colore, ogni volto, ogni luce ed ogni sensazione.
Come vorrei dire ad ogni creatura che incontro: «Scrollati di dosso i problemi artificiosi della nostra società, butta lontano da te l’indifferenza, l’abitudine, il dare per scontato e canta col Creato. E se ti mancano note e parole, prendi lo spartito del Cantico delle Creature del Poverello d’Assisi ed intona il “Laudato sii, mi Signore, per l’acqua, le stelle, il fuoco, i fiori e gli uomini e le donne che riempiono il Creato di bellezza e di soavità!»