Vi sono alcune tra le canzoni un po’, o molto, romantiche, che i nostri giovani non amano e perfino non conoscono, che io ascolto sempre molto volentieri: “O sole mio!”, “Mamma”, “Romagna mia” e qualche altra che si muove sulla stessa lunghezza armonica.
Ormai capita di rado che la radio, e peggio ancora la televisione le mettano in onda; non è di moda, non avrebbero un bacino di ascolto, ma soprattutto rappresenterebbero la reazione più sorpassata per le nuove generazioni.
Se qualcuno della mia età vuole ascoltare queste canzoni, deve accendere il giradischi nel chiuso della sua camera ed ascoltarle di nascosto come durante la guerra si ascoltava “Radio Londra”! Perfino al “don Vecchi”, la cui popolazione ha un’età che si aggira intorno agli 85 anni, e i giovani sono appena due o tre, non si riesce ad ascoltare musica del genere. Ogni volta che faccio presente che abbiamo un impianto di diffusione efficiente e che potremmo trasmettere in sottofondo musica sinfonica, canti di montagna, romanze celebri o musica da camera per ingentilire ulteriormente l’atmosfera del Centro che, fatalmente, nonostante i quadri e i fiori, sa di vecchio, m’arriva invece il gracidare acidulo e nevrotico del rock freddo o di qualche suo parente prossimo che mi irrita ed aumenta il malumore.
In questi giorni, dopo settimane e settimane di tempo cupo, di nebbie, di pioggia fredda che mi ha fatto temere che anche in Italia fosse calato il clima del nord Europa, ho sentito il desiderio di “vedere una” delle poche cose belle che sono rimaste nel nostro sud: il sole. E ho ascoltato “O sole mio” a tutto volume; l’ho ascoltato come una accorata preghiera al Creatore, che dopo essere stati privati di un governo sano, di una economia efficiente e di un vivere sereno, non ci venga tolto anche il “sole bello e radioso” che faceva cantare il cuore a san Francesco, il poverello di Assisi.