Questa mattina, durante la recita del breviario, mi ha colpito una frase di un antico vescovo di una chiesa del Medioriente, sant’Ignazio di Antiochia. Leggendo il pensiero di questo santo uomo di Dio, ho provato un sussulto di sorpresa, apprendendo che forse, diciotto o venti secoli fa, questo pastore della Chiesa aveva detto delle verità che io pensavo di aver scoperto negli ultimi decenni della mia vita di prete e che credevo fossero verità di assoluta avanguardia.
Sant’Ignazio, nel suo sermone, afferma: “E’ meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo”. Mi pare che fin d’allora c’è stato chi aveva capito che i cristiani veri non sono quelli iscritti nel registro dei battesimi, o che vanno alla messa alla domenica, o sono schierati tra i cittadini moderati o benpensanti, ma coloro che definendosi religiosi o no, sono persone solidali, oneste, libere, coraggiose e disposte a pagare il prezzo salato che costa l’amore al prossimo.
Nei miei sermoni ritorno quasi con monotonia sulla verità che se la nostra frequenza alle liturgie più o meno solenni, non ci trasforma in “uomini nuovi e migliori”, il tempo che impieghiamo per esse è tempo sprecato, anzi motivo di accusa un domani di fronte al giudizio di Dio.
Talvolta mi pare di battere l’aria, e ciò mi scoraggia, sennonché, qualche giorno fa, una signora che mi chiese di celebrare una data significativa del suo matrimonio tra le commemorazioni e le preghiere per i morti, mi disse: «Forse mio marito accetterà di venire con me solamente in questa chiesa!». E poi, per addolcire l’immagine che io avrei potuto farmi di quest’uomo, soggiunse: «Sa, don Armando, mio marito è di quelli, come lei ripete “che Dio possiede e la Chiesa non possiede”».
Ciò mi fece molto piacere e celebrai con entusiasmo l’anniversario delle nozze prima del “Memento dei morti”. Però, con un po’ di preoccupazione, mi chiesi se tra la folla che gremisce la mia chiesa alla domenica non ci sia qualcuno “che la Chiesa possiede, ma Dio non possiede?”