Quest’anno il mio sermone in occasione dell’Epifania è stato particolarmente infelice, nonostante i temi che quella celebrazione mette a fuoco mi siano da sempre particolarmente esaltanti.
La nottata irrequieta, e poi la mattina dell’Epifania con un cielo imbronciato e con la minaccia di neve, mi hanno tolto entusiasmo, respiro e quindi una parola lucida e scorrevole. Sono rimasto particolarmente amareggiato per i fedeli che, attenti e composti come sempre, hanno affollato l’Eucaristia e soprattutto per non esser stato capace di cogliere una occasione così propizia per mettere a fuoco delle verità che mi sono particolarmente care.
La preparazione, gli appunti e il desiderio di passare un messaggio importante, non mi sono bastati, le parole mi morivano in bocca e con esse l’entusiasmo.
Ora mi ritrovo a rimuginare tra me e me i tre concetti che avrei voluto passare.
Il primo: Incontrare uomini in ricerca, non paghi di ciò che avevano già scoperto e soprattutto credenti che hanno compreso che la fede è un fatto dinamico che si innerva con la crescita interiore, è una fortuna ed uno stimolo a vivere e non a dormicchiare sopra verità stanche, logore e statiche.
Secondo: Anche oggi la natura, come la “stella” di Betlemme, è uno strumento prezioso ed insostituibile per scoprire il volto di Dio. Dante afferma che Dio letteralmente si “squaderna” nel Creato, perchè ogni creatura porta l’impronta di Dio. Basterebbero “le stelle di Natale” per dirci che Dio ci è vicino e ci ama.
Terzo: La ricerca del Dio presente nel tempo approda, ancora una volta, sulla soglia della vita, dell’amore, dell’uomo, della donna, della famiglia, della Creatura umana fragile ed indifesa.
Mi spiace tanto di non aver saputo indicare ai miei cari fedeli tutte queste splendide realtà. Non mi è restato che offrire a Dio la mia sconfitta sperando che i fratelli ci arrivino da soli a deporre i doni per il Dio in mezzo a noi.