E’ morta qualche settimana fa la sorella della mia vecchia governante, una cara donna più che novantenne che si è spenta dolcemente, in umiltà e silenzio circondata dall’affetto dei suoi figli. Mi è parso doveroso esprime il cordoglio e la mia profonda riconoscenza verso chi mi è stato accanto per ben 35 anni, nonostante la mia intransigenza nel chiedere tutto e più di tutto a chi mi offrì la sua collaborazione. Sono andato quindi nella chiesa di S. Giuseppe in viale S. Marco, chiesa che fu per molti anni quella di don Gino, il più fedele e il più vicino, come indirizzo pastorale, dei parecchi cappellani con cui sono vissuto in canonica a Carpenedo.
Sono arrivato per tempo come è mio costume, così ho avuto modo di osservare questa chiesa nata col villaggio S. Marco, credo quasi mezzo secolo fa.
Ne fui veramente ammirato.
La chiesa non ha pretese architettoniche, ma si rifà alle basiliche romane, sobrie, essenziali nelle linee, ordinate e silenti strutturalmente. Su questo impianto si sovrappone l’animo e lo stile di don Cristiano, il suo giovane parroco. Tutto lucido profumato di pulizia, di ordine e di buon gusto.
Questa chiesa periferica, può darsi che non sia frequentatissima, ma sono certo che si presenterebbe così anche se fosse affollata cento volte al giorno.
Arrivò don Cristiano, magro ed abbronzato per essere stato in montagna con i suoi ragazzi, la vacanza dei preti credenti, camice lungo con un gran pizzo, la pianeta preconciliare, una omelia preparata e linda. Una giovane signora ha letto con proprietà i brani della Scrittura, ed un volontario, facente funzione di sagrestano, collaborò col canto e col servizio. Chiesa e cristiani, puliti e seri. Buttai poi lo sguardo sulla parete di fondo, e scorsi come a Torcello la grande tela di Joos, il pittore triestino, mio amico, che dipinse con vera passione “Il giudizio sull’amore”, forse la più grande tela, ma comunque la più artisticamente pregevole, esistente nelle chiese di Mestre.
Provai un pizzico di orgoglio e di commozione. Il Joos del sacro è nato attorno al Cenacolo artistico de “La cella”, la galleria del Campanile di Carpenedo.
Mi parve che la mia antica concezione, che l’ umanesimo cristiano, non si esaurisce nel culto o nel catechismo, ma investe tutto l’uomo e ciò deve trovare riscontro anche nella pastorale, abbia attecchito, seppur timidamente, nella nostra città.