Più di un amico o di un lettore de “L’incontro” mi ha fatto osservare che non capiva o non condivideva la mia ammirazione, per nulla nascosta, per l’Ospedale all’Angelo di Mestre. E’ vero che da un lato ero e sono ancora orgoglioso che finalmente a Mestre, città condannata ad essere un sobborgo e dormitorio – ora del turismo lagunare e, prima, dell’attività industriale di Marghera – si fosse finalmente fatto qualcosa di bello e da un altro lato mi rasserenava che la mia gente ed io potessimo contare su un ospedale di eccellenza come gli “addetti al lavoro” non perdono occasione di farci sapere.
Io frequento spesso l’ospedale, sia per motivi di ordine pastorale, perché due volte la settimana porto “la buona stampa”, sia per motivi di salute perché più di una volta sono stato ricoverato in questo ospedale per i guai che da qualche anno mi affliggono.
Da un punto di vista estetico la mia ammirazione non ha subìto crepa alcuna. La “piramide maya” dell’Angelo, l’oasi verde, ora più che mai rigogliosa ed accogliente, gli spazi di ampio respiro, l’entrata larga e funzionale che ti offre l’alternativa, ai soliti gradini, della scala mobile o del comodo ascensore, la collinetta verde trapunta di cipressi, il laghetto artificiale e il prato verde sempre ben rasato che sembra un soffice tappeto su cui posa delicatamente la struttura, mi pare facciano concorrenza ad un quadro del Pinturicchio. Tutto ciò continua ad incantarmi.
Dall’altro lato la stampa cittadina, che ogni giorno ti mette sott’occhio le scoperte, i primati, i risultati scientifici dei primari che vi lavorano, le eccellenze che si manifestano nelle varie divisioni, mi hanno sempre tenuto lontano e in posizione di rifiuto di certe voci malevole per l’angustia degli ambulatori, per il costo del posteggio, per la poca praticità delle “finestre”, per le critiche dei sindacati o per l’affollamento esagerato del pronto soccorso.
Ora però cominciano a far breccia certi dubbi per voci che non ci possono non preoccupare, quali la fuga dei primari o dei dottori più promettenti, la carenza della strumentazione, il mancato aggiornamento delle macchine. Queste voci, che spero siano solo critiche malevole, non mi possono lasciar tranquillo e cominciano col preoccupare anche me. Sono critiche che io non posso però verificare, ma il fatto che l’ospedale mi appaia come “il deserto dei tartari”, che i negozi non abbiano mai dentro un’anima viva, quando a Padova o il Ca’ Foncello di Treviso sembrano dei mercati brulicanti di gente, che senta a destra e a sinistra concittadini che vanno a farsi curare altrove, mi danno pensiero; mi spiacerebbe proprio scoprire che l’Angelo è una patacca e non un gioiello.