Qualche domenica fa ho celebrato, con la mia splendida e numerosa comunità, che si dà appuntamento ogni domenica nella chiesa della Madonna della Consolazione del cimitero, la festa dell’Ascensione. Premetto che ho fatto il proposito, seguendo le indicazioni del prete che cura la messa in onda delle messe festive della Rai, che il mio sermone non deve durare più di otto minuti. A questo scopo ho incaricato suor Teresa, che prende messa in sagrestia, di cronometrare le mie omelie. Sto pensando a delle penalità da infliggermi qualora sforassi questo tempo in cui si dice che gli ascoltatori prestano una vera attenzione.
Una volta accettata questa disciplina, debbo cominciare fin dall’inizio della settimana a pensare alla predica. Da quando comincio a riflettere mi si aprono mille orizzonti, ma ne debbo prendere in considerazione al massimo uno o due e debbo cominciare a scegliere vestiti sobri ed essenziali per vestire questi messaggi; quindi niente divagazioni e parole superflue perché queste mercanzie non stanno dentro gli otto minuti.
Ciò premesso, per la mia omelia, quella domenica ho considerato l’Ascensione come l’addio di Gesù a questo mondo, per raggiungere la splendida aurora del nuovo giorno.
Ma subito mi si è affacciata l’immagine tetra, buia e desolante dell’alternativa proposta dalla cultura radicale e nichilista, portata avanti dagli atei radicali, ma pure in maniera più subdola da non credenti o da credenti a livello solamente formale. Mi sono accorto del baratro della morte che rende beffarda ed assurda la vita, inutile, ingannevole ed irrazionale. Ricerca, fatica, sofferenza, lavoro, sogni, speranze, valori per una concezione laica dell’esistenza, sono quanto di più inutile ed ingannevole si possa immaginare. Io mi tengo di certo l’Ascensione e credo di aver convinto anche i miei fedeli a fare altrettanto!