Da “L’INCONTRO” – 11 febbraio 2018

Da L’INCONTRO” – 11 febbraio 2018
settimanale della Fondazione Carpinetum

L’argomento che il giornale propone di sviluppare in questo numero è quello delle problematiche dell’adolescenza. Comunque, fortunatamente, il periodico tratta pure altri argomenti e così evita una monotonia che il lettore a malapena sopporta.

In questo numero presento l’articolo di don Bonini che, a proposito di elezioni, di programmi elettorali e soprattutto del ruolo dei cattolici, riporta il pensiero del monaco Enzo Bianchi e del cardinale Martini: due perle veramente preziose!

Presento pure la presa di posizione lucida, tagliente e categorica di Luciana Mazzer sulla passività della famiglia, della scuola e soprattutto degli organi dello Stato sulle devianze e la violenza egli adolescenti e dei giovani.

Il periodico gode pure del consueto apporto del dottor Sergio Barizza su argomenti inerenti la storia di Mestre.

don Armando

Parole profetiche
di don Fausto Bonini

Vent’anni fa il monaco Enzo Bianchi e il cardinale di Milano Carlo Maria Martini offrivano riflessioni che in questo periodo pre-elettorale ritornano con la forza della loro attualità

Parola di Dio e politica
In questi giorni di grande dibattito politico mi è capitato in mano, un po’ per caso e un po’ perché cercavo una parola saggia sul tema della politica, un libricino edito dalla comunità di Bose, nella collana Qiqajon, intitolato Parola e politica. Raccoglie le riflessioni di Enzo Bianchi e di Carlo Maria Martini su questo tema. Non so se sia stato riedito. La mia edizione porta la data del 1997 e costava allora 10.000 lire. Non eravamo ancora entrati nell’euro.

I cristiani siano sale e lievito nelle culture.

Spero di non annoiarvi, ma (purtroppo!) quelle riflessioni sembrano scritte per la situazione politica che stiamo vivendo. Sono passati vent’anni da allora, ma ancora niente di nuovo sotto il sole. Cedo la parola a Enzo Bianchi. “I cristiani siano sale e lievito nelle culture. I cristiani non devono avere una “loro” cultura, ma devono abitare le culture degli uomini, conferendo ad esse semmai quell’orizzonte che solo la fede può dare. L’evangelo non ci consegna una cultura, ma si incultura; non fa di noi una città, ma abita le case degli uomini… La presenza dei cristiani nella polis dovrebbe divenire “luce”, illuminazione di sentieri possibili, indicazione di senso e di speranza, ma anche smascheramento delle disumanità, denuncia profetica contro le ingiustizie, vigilanza e istanza critica contro i rischi dell’assurgere del potere politico a idolo”. Papa Francesco è su questa lunghezza d’onda. La sua voce è una voce profetica che spinge la Chiesa ad essere “Chiesa in uscita”. Che vuol dire “uscire” per “entrare” nei problemi dell’umanità di oggi. Che il Signore ce lo conservi a lungo!

È in gioco il futuro della democrazia.
E ora passo la parola al cardinale Martini. “C’è un crescendo della politica fatta spettacolo, fatta scontro verbale, palcoscenico di personaggi vincenti, che richiedono deleghe a governare non sulla base di programmi vagliati e credibili, bensì sulla base di promesse o prospettive generiche”. E ancora: “C’è una logica della conflittualità che tutto intende nella relazione amico-nemico, dove con l’amico si ha tutto in comune, con il nemico nulla… Il consociativismo, accordo spartitorio di potere che non ricerca valori comuni da far crescere insieme, ma spazi da gestire… Non è in gioco la libertà della Chiesa, è in gioco la libertà dell’uomo; non è in gioco il futuro della Chiesa, è in gioco il futuro della democrazia”. Parole profetiche, anche queste. Vi ricordo che queste parole sono state scritte vent’anni fa e sono ancora di grande attualità. Siamo in periodo pre-elettorale e la confusione è grande e il sottoscritto, in buona compagnia di qualche milione di italiani, non sa ancora per chi votare. Tutti promettono la luna. Una volta tanto scelgo di non guardare la luna, ma di guardare il dito che la indica. Che significa che voglio verificare la credibilità del personaggio, la sua storia passata, il suo impegno presente. E poi faccio fatica a capire questa ressa di persone che si spingono e fanno di tutto pur di entrare nelle liste delle persone da eleggere. Che sia per senso del dovere? Per volontà di servizio? Oppure per sistemare la propria vita presente e anche quella futura grazie a una buona pensione e a un buon vitalizio? A voi la scelta. Caso per caso, ovviamente, per non fare di ogni erba un fascio.

Diversità e violenza
di Luciana Mazzer

Violenze da parte di minori, spesso ancora bambini, nei confronti di altri adolescenti. Violenze che hanno comportato per le vittime gravissime conseguenze fisiche e psicologiche che si protrarranno nel tempo. In pochi giorni, numerosissimi i casi avvenuti.

Gruppi di giovanissimi vigliacchi, resi forti dal numero, hanno aggredito in luoghi affollati coetanei sconosciuti colpendoli con calci, pugni, catene e coltelli.

Ragazzi che una passeggiata in centro o il ritorno da scuola hanno portato al disgraziato incontro. Adolescenti normali, normali nel vestire, nel modo d’essere; diversi però, agli occhi degli aguzzini proprio per la loro normalità. I diversi, “i gravemente diversi” sono purtroppo loro: bambini e ragazzini che con il placet o il totale disinteresse di disgraziate famiglie non frequentano la scuola per non sacrificare, a loro dire, la propria libertà all’istruzione.

Bambini e adolescenti che vivono in strada senza proibizione alcuna; ignoranza e violenza sono per loro pane e credo, inculcati sin dalla culla dai loro stessi genitori e parenti. Famiglie, che dell’infrangere la legge hanno fatto la propria ragione di vita, la propria professione. Di fatto, nessuno è più solo dei violenti giovanissimi, abbandonati a loro stessi, ignorati dalle famiglie, lasciati crescere fra violenze e brutture.

Per la nostra legge, essendo ancora bambini, molti di loro sono impunibili. Nonostante la gravità del fatto commesso, vengono riconsegnati alla famiglia, aggiungendo male al male, errore ad errore. Non meno grave, la passività e l’indifferenza dei molti adulti presenti alle violenze. Nessuno ha proferito parola, nessuno ha cercato di difendere le vittime. Prosegue innarrestabile l’abbrutimento della razza umana. Le preposte istituzioni hanno fin troppo atteso, lasciando che il fenomeno della delinquenza minorile raggiungesse, soprattutto in territorio partenopeo, gli attuali livelli.

A mio parere, il tardivo summit delle della scorsa settimana potrà portare nel tempo risultati apprezzabili, se si penserà tanto alle vittime, quanto agli aguzzini. Forse, con molta fatica e un grande, impegnativo lavoro da parte di chi dovrà occuparsi di loro, queste violente, irragionevoli, ignoranti, crudeli creature, non senza grande interiore dolore, potranno conoscere nel tempo il conforto e la bellezza della normalità.

La nostra storia
Mestre, centro di comunità
di Sergio Barizza

“Mestre o delle strade”, così un improbabile Cicerone del XXI secolo potrebbe intitolare un qualsiasi saggio su Mestre. È ben vero che è storicamente la “porta” verso Venezia, che dispone di una delle più grandi aree industriali d’Europa in via di dismissione e riconversione accanto a un invidiabile parco urbano con panorama mozzafiato sul profilo della citta storica, che ha perfino delle glorie sportive nazionali e internazionali dalla scherma, al pattinaggio, dalla ginnastica, al nuoto e al basket… Ma vuoi mettere la tangenziale e il passante: quella è Mestre per moltissimi italiani e non solo, quel budello di tir e autovetture ha identificato spesso la quintessenza di questo lembo di territorio veneto. Un approdo storico non del tutto casuale. Infatti il più antico documento, scritto in latino, conservato presso l’Archivio Storico di Mestre è una copia cinquecentesca di un opuscolo del 1315 dal titolo “Decreti e deliberazioni intorno al rìstauro delle strade”. Si tratta di dichiarazioni giurate, di fronte a un notaio, dei responsabili delle varie frazioni del circondario di Mestre (denominati merìga), circa l’obbligo di garantire la sicurezza del territorio della loro circoscrizione mantenendo efficienti strade, ponti, fossi e canali con le rispettive rive. Ognuno doveva farsi carico della sicura viabilità del proprio territorio. Riporto come esempio una parte della regola riguardante Carpenedo, dove si parla della strada che va verso il Terraglio (via Trezzo) e della presenza di una fornace nella zona confinante con Bissuola: “Regola della Capo Pieve di Carpenedo. Martedì 4 entrante novembre. Pietro di Guidone, merìga della capo-pieve di Carpenedo, per sé e per il suo comune comparve davanti al notaio Alberto Viviani di Albertino e giurò e rese pubbliche le notizie sottoscritte. Dapprima si trova una via pubblica per la quale si va da detto vitlaggio al Terraglio da Mestre…

Ugualmente si trova una strada pubblica per la quale si va da detto villaggio a Mestre, la quale confina con la via per cui si va dal villaggio di Bissuola a Mestre, in essa vi sono due ponti, uno dei quali è sopra un canale che si chiama Fossa Nuova, che scorre per il territorio di Carpenedo e finisce nel fossato delle fornaci. Gli uomini che hanno terre nei pressi dello stesso lo devono tenere in ordine per tutto il loro territorio”.

Il panorama che emerge da questo primo “catasto delle strade” è, si potrebbe ben dire, un po’ olandese: un territorio solcato da strade e intersecato da numerosi fiumiciattoli, canali e grossi fossi che scorrono verso la gronda della laguna dove Mestre risulta il punto di convergenza di una serie di piccole comunità i cui nomi risuonano ancora oggi: Trivignano, Zelarino, Tarù, Chirignago, Asseggiano, Brendole, Perlan, Carpenedo, Dese, Favaro, Tessera, Spinea, Orgnano, Crea, Maerne, Martellago… È questa la visione di Mestre che si sarebbe poi consolidata nel tempo: ultima tappa del lungo tragitto verso Venezia per quanti provenivano dall’Europa centrale attraversando le Alpi (non a caso il tratto di strada compreso tra i Quattro Cantoni e la torre di Belfredo era denominato Borgo dei tedeschi) e centro in cui convergevano tutte le direttrici di traffico dalle frazioni e paesi vicini ma soprattutto da città più o meno grandi: Padova, Mirano, Castelfranco, Treviso, Trieste. Tutte le strade convergevano sul centro di Mestre, in particolare su piazza Barche, da dove poi merci e passeggeri avrebbero puntato – via barca – su Venezia.

(4/continua)

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