Da “L’INCONTRO” – 14 gennaio 2018

Da “L’INCONTRO” – 14 gennaio 2018
settimanale della Fondazione Carpinetum dei Centri don Vecchi

Mi viene sempre più da sognare che nella Chiesa mestrina si arrivi pian piano ad inviare ad ogni famiglia di ogni parrocchia – oltre al semplice foglietto per le notiziole parrocchiali – anche “L’Incontro”, a motivo dei suoi contenuti. Spero di non andarmene da questo mondo portando nel cuore questa utopia, che sarebbe una testimonianza della vera volontà di rievangelizzare la nostra gente e non tirare la carretta rassegnati al peggio.

Detto questo e visionato L’Incontro di questa settimana, non posso che invitare chi visita questo sito a leggere tutto il periodico perché è tutto interessante. Comunque, per chi è pigro o ha meno tempo, suggerisco l’editoriale di Alvise Sperandio che si rifà all’affermazione di San Giacomo: “La fede senza le opere è sterile”.

don Armando

Tra e per la gente

di Alvise Sperandio
Una Chiesa credibile s’impegna per dare delle risposte concrete ai bisogni delle persone.
A Mestre gli esempi non mancano e l’insegnamento del passato traccia la via per il futuro.

Preghiere, ma anche opere. Opere, ma anche preghiere. Senza questo inscindibile binomio, la fede sarebbe pura teoria.

Cristo ha insegnato che la spiritualità deve sempre tradursi in carità. Non basterebbe raccogliersi in preghiera senza mai sporcarsi le mani per il prossimo. Né, allo stesso modo, sarebbe sufficiente darsi da fare per gli altri se questo non si accompagnasse a un dialogo costante con il Signore. Servono l’una e l’altra cosa, insieme, di pari passo.

L’esperienza insegna che la Chiesa – consacrati e laici – è credibile quando non discorre di massimi sistemi, ma si attiva per il bene della gente. A Mestre, di esempi in questo senso ce ne sono moltissimi, per l’impegno di tanti sacerdoti e tante persone di buone volontà che fanno la loro parte fino in fondo. Non per autopiaggeria, ma quello della Fondazione Carpinetum è un caso quasi unico nel panorama italiano.

Sei Centri don Vecchi in poco più di 20 anni è un miracolo possibile grazie all’intuito di don Armando Trevisiol e alla generosità della gente che nel momento in cui si è trattato di dare del proprio, non si è mai tirata indietro. E nella certezza del risultato si è fondata la fiducia di non limitare l’impegno, ma di rinnovarlo ogni volta che un altro tassello di carità si aggiungeva. Ad oggi si contano 430 appartamentini per mezzo migliaio di persone ospitate.

Una cinquantina di queste non sono anziani autosufficienti, cioè il target ordinario per cui quest’avventura è iniziata nel lontano 1994, ma giovani, singoli o famiglie, alle prese con situazioni di difficoltà e aiutati nel più recente Don Vecchi 6, al villaggio solidale degli Arzeroni. Segno che la Chiesa è pronta non solo ad esserci anche lì dove il pubblico non arriva, ma anche sa adeguarsi all’evolvere del tempo e venire incontro ai nuovi bisogni con soluzioni tempestive ed efficaci. Che i Don Vecchi siano un fiore all’occhiello non lo dicono i diretti interessati, ma alcune analisi scientifiche che hanno evidenziato come la soluzione adottata dei condomini protetti non solo allunghi la vita, ma anche allontani più in là nel tempo la perdita di autonomia oltre, ovviamente, a sconfiggere la solitudine che è il primo problema di chi è avanti con l’età. Una decisione lungimirante, insomma, che ha mostrato il volto più bello della Chiesa che tante altre sfide, in città, ha nel tempo affrontato. Un’altra eccellenza che ha fatto scuola in campo nazionale è il Centro don Milani fondato dal compianto don Franco De Pieri, con le sue numerose attività. Le parrocchie hanno dato un contributo fondamentale per l’integrazione dei lavoratori giunti dal Meridione perché occupati a Porto Marghera e oggi altrettanto sta facendo con gli stranieri.

Con i patronati si sono messe in gioco nel campo dell’educazione e con le case in montagna hanno spesso dato la possibilità a chi non poteva permetterselo di fare una vacanza.

Grazie alle innumerevoli azioni caritative, in primis le mense, i dormitori e le conferenze della San Vincenzo, hanno aiutato chi non aveva (ha) da mangiare, dormire, pagare le bollette piuttosto che le medicine. L’elenco sarebbe lungo e mai esaustivo.

E siccome evangelizzare è anche fare cultura, la Chiesa mestrina molto ha fatto in passato per la promozione di uno sguardo di fede che si traduce nella vita civica. Basti pensare all’esaltante stagione del Bicentenario del Duomo e al lavoro svolto dalla Fondazione nata negli anni in cui arciprete era don Fausto Bonini, che ha accompagnato i credenti a tradurre la fede in un impegno cristianamente ispirato per Mestre.

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