Da L’INCONTRO – 3 settembre 2017
settimanale della Fondazione Carpinetum
Don Gianni Antoniazzi, da quando mi è subentrato, ha dato una nuova impostazione editoriale al periodico. Infatti ogni numero de L’Incontro è fondamentalmente monotematico, ossia tratta lo stesso argomento da angolature diverse.
Nel numero 36 di inizio settembre il tema trattato è quello delle “dipendenze” di ogni genere. A mio parere l’articolo più significativo su questo argomento è l’intervista che il coordinatore del periodico, Alvise Sperandio, fa al direttore del SerD di Mestre, dottor Alessandro Pani. Credo che genitori ed educatori in genere dovrebbero prenderne visione perché le prospettive del settore sono davvero preoccupanti.
E’ pure da leggere con attenzione a pag.6 il servizio “Il Forte Rossarol” perché riguarda la nostra città ed è avamposto dei professionisti che lottano a Mestre contro le dipendenze.
Riportiamo l’intervista al dott. Pani e il servizio su Forte Rossarol, ma pure tutto il resto di questo periodico merita di esser letto con attenzione. A Mestre L’Incontro è di certo il periodico più significativo del pensiero dei cattolici e, in assoluto, il più letto dai mestrini.
Sempre più un’emergenza sociale
di Alvise SperandioIl direttore del SerD Alessandro Pani racconta il sensibile aumento delle dipendenze Il dramma dei giovani che fanno uso di sostanze e delle persone che si rovinano con il gioco.
Direttore Pani: dal suo osservatorio qual è la situazione sulle dipendenze a Mestre e qual è il trend rispetto agli anni scorsi?
“Non stiamo rilevando particolari differenze sui tossico-alcol dipendenti, i tabagisti e i giocatori d’azzardo presi in carico. Sono però in aumento situazioni multi-problematiche sociali, per compresenza di varie patologie, scarse o assenti risorse familiari e problemi di legalità, per le quali è necessario un complesso lavoro in stretta sinergia con altri servizi”.
C’è un profilo tipo di chi soffre di una dipendenza e quali sono le ragioni profonde che la inducono?
“Dipende dal tipo di dipendenza. Per tutte si tratta di soggetti quasi tutti italiani e in prevalenza maschi. I tossicodipendenti adulti hanno un’età media sui 40 anni, una scolarità media inferiore e per il 40% sono disoccupati. Ci sono molti giovani tra i 16 e i 24 anni, un terzo di loro sono studenti: la metà si rivolge al SerD per uso di eroina, il 40% per cannabis, il 7% per cocaina. Gli alcolisti hanno un’età media di 43 anni e i giocatori d’azzardo sui 50 anni, nella maggior parte lavorano o sono pensionati”.
La piaga dello spaccio e dell’uso di droghe di ogni tipo è in forte crescita, coinvolgendo anche i giovanissimi: perché questo mercato è tornato a dilagare?
“Perché ha sviluppato nuove sostanze e nuove tecniche e modalità di vendita mirate e capaci di conquistare questo target di popolazione. Gli adolescenti sottovalutano i rischi e sopravvalutano le proprie capacità di controllo. L’uso di droghe è il comportamento a rischio più diffuso tra i ragazzi, anche se non tutti quelli che le assumono rischiano allo stesso modo essendoci, tra tutti, soggetti più vulnerabili di altri”.
Un altro aspetto molto critico riguarda la ludopatia: perché il gioco fa ammalare sempre di più e che strategie si devono adottare per contenere il fenomeno?
“Tra le varie forme di dipendenza è quella che ha avuto il maggior numero di incremento negli ultimi anni. Per contrastarla stiamo lavorando in sinergia con tutti i SerD della provincia all’interno di un protocollo con la Prefettura che prevede formazione degli operatori, azioni di prevenzione, diagnosi preoce e trattamento adeguato, oltre che applicazione di appositi regolamenti comunali”.
È vero che è sempre più marcato il problema della polidipendenza, vale a dire che chi si droga spesso anche fuma, beve e gioca compulsivamente o viceversa?
“È un problema che ha trovato larga diffusione. L’ampia disponibilità di sostanze e di occasioni di gioco lo ha facilitato. Nelle fasce di popolazione più giovane si trovano ragazzi che, soprattutto nei fine settimana e nel corso della stessa serata, assumono sostanze diverse, con effetti imponderabili e a volte molto gravi fino a mettere a rischio la vita stessa”.
Che tipo di consiglio vuole dare per contrastare le dipendenze? E se questo suggerimento lo dovesse dare ai genitori, alle famiglie, alle così dette agenzie educative, cosa si sentirebbe di dire?
“I genitori hanno a disposizione il monitoraggio e il contrasto. È necessario osservare le attività del figlio dentro e fuori della famiglia: cosa fa, dove va, chi frequenta, come si organizza e occupa il tempo libero, che cosa desidera. Va ostacolata la cultura dell’accettazione, della tolleranza e della normalizzazione. Va, invece, valorizzata l’individualità, aiutando il ragazzo ad avere opinioni personali, evitando l’omologazione”.
Il Forte Rossarol, perla della città
di Luca BagnoliNel 1987 don Franco De Pieri fondò il Centro di solidarietà “don Lorenzo Milani”. Trent’ anni dopo, al Forte Rossarol, questo straordinario lascito materiale e spirituale, si presenta come una realtà terapeutica residenziale altamente strutturata, punto di riferimento locale e nazionale per il trattamento delle dipendenze.
La pronta accoglienza
Il Pronto Accoglienza Confine, convenzionato e accreditato dalla Regione, gestisce la fase acuta della tossico-dipendenza, il momento della crisi, ospitando fino a 15 pazienti tra maschi e femmine per un massimo di 4 me-si. Nel 2016 ha seguito 86 persone, che hanno effettuato 117 ingressi. Il 62% ha concluso il programma, restando mediamente 2 mesi e 41 giorni, mentre il 29% ha interrotto prematuramente. Il 41% proveniva dalla provincia di Venezia.
Il Centro Soranzo
Quando nasce, 15 anni fa, Ideata da Mauro Cibin, attualmente collaboratore del comitato scientifico del Centro, è la prima struttura residenziale per alcolisti in Italia. “Soranzo – spiega il direttore responsabile Alberto Bottaro – non è una clinica, ma una comunità psicoterapeutica. Qui i pazienti, massimo 30 tra maschi e femmine per un periodo che varia dalle 4 settimane ai 6 mesi, devono possedere una buona capacità introspettiva e non fanno i classici lavoretti riabilitativi, ma vivono e convivono insieme occupandosi del proprio mantenimento quotidiano. Devono fare le pulizie, preparare la tavola. Solo la cucina viene gestita dal nostro personale. È una realtà che tratta le dipendenze, tutte le dipendenze, non importa quali, prendendo le mosse dalla persona in un contesto collettivo. Difatti, oltre alle sedute individuali, particolare attenzione viene posta alla terapia di gruppo, come quella mirata alla prevenzione della ricaduta, che fornisce gli strumenti idonei per affrontare la vita al di fuori della struttura. Il metodo che imparano viene praticato dai pazienti anche durante la degenza, quando ritornano a casa per brevissimi periodi”. L’obbiettivo è imparare ad osservarsi, per poi raccontare al proprio terapeuta quanto accaduto tra le mura domestiche. “In questo senso la famiglia è fondamentale – sottolinea Bottaro – Qui lavoriamo anche con i parenti, invitati ad essere partecipi di questo percorso che, una volta conclusosi in comunità, può proseguire in forma ambulatoriale. Un altro appuntamento quotidiano è de-dicato al corpo. Praticare attività fisica, come yoga, shiatsu e training autogeno, risulta indispensabile per l’at-tivazione di un corpo che cerchiamo di valorizzare. Inoltre, per i pazienti con difficoltà nella sfera emotiva, adottiamo la pet therapy, avvalendoci delle caratteristiche specifiche di un asino. Nel 2016 il Centro ha gestito 256 persone, che hanno effettuato 391 ingressi. Il 51% proveniva da fuori Regione, il 19% è stato inviato dal SerD, mentre il 28% si è presentato privatamente, a volte per evitare di essere schedati come tossicodipendenti, altre con l’auspicio di trovare maggiori attenzioni. Per noi non c’è differenza, qui garantiamo l’anonimato e pari trattamento, paghi la famiglia o lo Stato. L’importante è la forte motivazione dell’interessato, non accettiamo gli “smetto quando voglio”. Per questo l’86% dei pazienti conclude il percorso terapeutico”.
La comunità Contatto
La Comunità Contatto, che accoglie fino a 30 ospiti tra maschi e femmine, si occupa del reinserimento. Insegna, per esempio, a creare un curriculum vitae e ad affrontare un colloquio di lavoro. Fornisce dunque gli strumenti per rendere i pazienti autonomi nella ricerca del proprio ruolo in società. Il 22% di loro conclude questa attività rimanendo in struttura mediamente per 8 mesi.
Il valore aggiunto
Per quanto concerne le figure professionali, nella cittadella del Centro Don Milani operano psicologi, psicoterapeuti, educatori, psichiatri e infermieri. “Come ci ha insegnato don Franco – conclude Bottaro – l’equipe è fortemente concentrata sull’attenzione alla persona e in costante aggiornamento. La comunicazione tra colleghi è continua, ogni 4 ore ci relazioniamo in merito alle diverse situazioni che riguardano i pazienti. Insomma, mi piace pensare che siamo tutti animati dalla scienza e dal cuore”.