Non sono mai stato troppo amante di frequentare “il palazzo” o la curia, nemmeno quando ero più giovane. Ora non lo sono anche a motivo dell’età. Ci sono stati tempi però in cui ho avuto un ruolo in certi organi istituzionali della Chiesa veneziana e penso di aver sempre ottemperato al mio dovere di parteciparvi e di farlo in maniera estremamente attiva, perfino troppo!
Adesso sono un osservatore attento, curioso e interessato alla vita del clero veneziano che, pur essendo molto ridotto, conta ancora quasi duecento membri. La mia attenzione si estende dagli ultimi arrivati ai più anziani che conosco molto meglio.
In una delle pochissime occasioni in cui il Patriarca è venuto al “don Vecchi” per un incontro sacerdotale, essendo io il “padrone di casa”, mi hanno fatto sedere vicino a lui. Più che un buon parlatore io sono un buon ascoltatore, ma essendo il Patriarca piuttosto riservato e di poche parole, pranzai piuttosto a disagio cercando con un certo affanno argomenti perché il pranzo non si riducesse ad un mortuorio.
In questa ricerca di dialogo chiesi al Patriarca genovese che cosa ne pensasse dei preti veneziani. (Ora mi pare che il clero veneziano sia abbastanza incolore e poco caratterizzato da personalità forti e particolari. Un tempo però era costituito da un repertorio molto diversificato). Il Patriarca mi rispose abbastanza asciutto che me l’avrebbe detto “fra un anno”. La cosa è finita lì perché non ho avuto altre occasioni per incontrarlo.
Oggi, appena aperta “Gente Veneta”, il periodico della diocesi, mi è balzata agli occhi una lunga lista di trasferimenti di preti da un incarico all’altro e, per una strana associazione di idee, m’è venuta in mente la battuta dell’anno scorso sulla qualità dei preti veneziani. Evidentemente, una volta conosciuti i preti, il Patriarca ha cominciato a porre in atto una sua strategia particolare per rivitalizzare la Chiesa veneziana che mi pare abbastanza appiattita, passiva e rassegnata. I nuovi incarichi, le rimozioni e i trasferimenti, mi sembrano molto consistenti a livello numerico. Mi auguro tanto che questi “rimescolamenti delle carte” abbiano buon esito.
Per Mestre di significativo c’è il cambio del parroco del Duomo, per il resto non mi pare ci sia un granché, soprattutto mi sembra di avvertire che sia scomparsa ormai completamente l’intenzione di dare volto ad un progetto pastorale cittadino ed unitario per questa città, che invece anela ad una sua autonomia, ad una sua specificità perché è notevolmente diversa da quella insulare.
In un tempo in cui c’è ancora in ballo un referendum per la separazione, questo orientamento mi preoccupa un po’.