Compagni di avventura

Questa mattina sono stato al “Nazaret” per far visita alla “signorina” Rita. L’ho trovata ancora a letto perché – mi disse l’infermiera di questa casa di riposo – la alzano solamente alle dieci e mezza, altrimenti si stanca troppo a stare seduta in poltrona.

La Rita mi è apparsa come un pulcino bagnato e smarrito appena uscito dal guscio. Gli anni, la malattia e la stanchezza hanno progressivamente logorato la forte fibra e il carattere più che deciso di colei che in parrocchia a Carpenedo controllava tutto, interveniva a proposito e a sproposito su tutto, ma alla quale era riconosciuta un’autorità assoluta, essendo la “governante” del parroco, una figura ed un ruolo che Alessandro Manzoni ha immortalato nei suoi “Promessi sposi”. Vedendola così inerme e smarrita ho provato un senso di tenerezza, di riconoscenza e pure di rimorso per aver preteso da lei il possibile e l’impossibile, come sempre mi è capitato di fare.

La visita a questa donna più che novantenne nella cameretta a due letti, pur nella casa di riposo più ambita della nostra città per l’ordine e la funzionalità che la contraddistingue, ha messo in moto nella mia memoria le sequenze di un film a me ben noto, che però non rivedevo da molti anni. Il “proiettore” ha cominciato subito a trasmettere immagini su immagini che si accavallavano rapidamente.

A 42 anni fui “promosso parroco” a Carpenedo perché altri preti avevano rifiutato a causa dei debiti e della contestazione anche in parrocchia. Non avevo allora un piatto, una forchetta, una sedia. Dissi a Rita, già presidente dell’Azione Cattolica e sarta di professione: «Vuole dividere la mia `avventura pastorale?’». Disse di si. Caricammo le sue povere masserizie su un furgone dei poveri e mettemmo su casa nella canonica di Carpenedo. Ora la canonica è un palazzotto del settecento austero ma di nobile aspetto, ma allora il tetto della cucina era coperto da un telone di nylon verde, perché le tegole non riparavano dalla pioggia e i balconi erano così sgangherati che don Roberto e don Gino, avendo pietà di me, impiegarono un quintale di stucco per poterli ridipingere.

Rita, pur avendo sognato l’intimità di una casa ordinata, pian piano accettò, seppure con fatica, l’andirivieni a tutte le ore del giorno e della notte, tanto che una volta sbottò dicendo: «Questa non è una casa, ma un municipio!»

Cominciammo col patronato, poi con l’asilo e quindi con il “Ritrovo degli anziani”, con Villa Flangini, con la Malga dei Faggi, solamente per parlare delle strutture. E lei era sempre presente con la qualifica di manovale, di sovrintendente, di tesoriera, di segretaria, di telefonista e mille altre cose ancora. Ci un tempo in cui perfino le affidai il compito di inserire i programmi della regia di “Radiocarpini”! E non che io fossi tollerante, ho sempre richiesto tutto e di più!

Vedendola ora così smarrita e fragilissima nel suo lettuccio bianco, ho sentito tanta tenerezza e tanta riconoscenza, perché quando le cose van bene è sempre merito del capo e sempre ci si dimentica del suo esercito. Son certo che lei si è sempre aspettata la ricompensa dal Padre nostro che è nei Cieli, altrimenti non avrebbe mai potuto fare la vita che “l’ho costretta a fare”.

08.08.2013

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