La felicità è nel quotidiano, non nei moderni canti di sirene!

Ho l’impressione che gli uomini del nostro tempo vivano come se fossero drogati. Non mi riferisco però a chi, talvolta col pretesto di provare un attimo di euforia, assume l’eroina o tutte le altre “porcherie” che distruggono letteralmente la vita, ma penso a tutta quella miriade di persone che rimangono affascinate e si lasciano irretire da quelle bolle di sapone rappresentate dal guadagno, dal successo, dall’erotismo, dall’imporsi sugli altri o da quelle, ancor più meschine idolatrie della macchina, della pelliccia o delle vacanze in paradisi lontani.

Ci sono tantissime persone che si lasciano avviluppare dal canto di queste sirene e che oggi pare siano una quantità enorme; persone che diventano come creature stordite, quasi automi che seguono in maniera stolta ed incosciente i pifferai che fanno i loro interessi e che, a loro volta, seguono i pifferai di un grado più alto.

Tanta, troppa gente cerca la felicità o anche, più modestamente, la gioia del vivere, in feticci ingannevoli, mentre avrebbe a portata di mano e a prezzi irrilevanti, la risposta alle sue attese.

Qualche giorno fa ho celebrato il commiato cristiano di un concittadino che è ritornato al Signore dopo 95 anni di vita. Stanco di lottare, si stava lasciando andare, logorato dagli anni e da gravi perdite. La nipote, quanto mai affezionata al nonno, lo incitava invece a continuare a lottare per vincere il male e continuare ad essere per lei e per i suoi cari il punto di riferimento della loro vita. Allora il nonno, con un sorriso debole, quanto mai dolce, le sussurrò: «Finché mi volete bene cercherò di resistere per stare con voi!».

Qualche giorno fa scrivevo in una didascalia per la copertina de “L’incontro” che riportava la foto di una famigliola serena – babbo, mamma e due ragazzini: “C’è oggi troppa gente che cerca lontano, in paradisi irreali, la felicità, mentre l’avrebbero a portata di mano nell’affetto sereno verso la propria sposa, i propri bambini e nella loro casa.

Ricordo sempre una vignetta in cui erano disegnati due giovani sposi seduti su una panchina nel parco. Lui confida a lei: «Farò carriera, ci compreremo una villetta, ti regalerò delle belle vacanze, e così saremo felici». E lei gli risponde con un sorriso dolce e caldo: «Ma siamo già felici perché io ho te e tu hai me!».

Bisogna che scopriamo la felicità nel quotidiano, in quello che è a portata di mano. Non ci capiti come a quell’attore che fece scrivere sul marmo della sua tomba: “Fui felice ma non lo seppi!”.

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