La politica dei rovi

Nota della Redazione: come sempre accade, questa riflessione è stata scritta molto prima dei recenti avvenimenti politici.

Io non sono colto né ho una buona memoria, però ogni tanto mi salgono, da ricordi lontani, delle verità che rappresentano per me quasi degli appigli a cui aggrapparmi quando tutto sembra precipitare.

Tante volte ho confidato alle pagine di questo diario la mia amarezza e il mio sconforto di fronte ad una società smarrita e confusa che annaspa disordinatamente ed in maniera ignominiosa tra la corruzione, l’ipocrisia, l’avidità e la prepotenza.

Non vedo rimedio se non in una vera e profonda rivoluzione morale, forse sarebbe meglio dire in una conversione globale, determinata da qualcosa che però non vedo ancora all’orizzonte, ma in cui spero.

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere quel piacevole e sapiente brano della Bibbia in cui si parla per parabole della volontà degli alberi di nominarsi un re. Nascono però fin da subito le difficoltà: l’olivo rifiuta perché non vuole rinunciare all’olio, conforto degli uomini, il fico pure, perché non vede come andrebbe ad agitare i suoi rami senza poter più dare il suo dolce frutto; anche la vite rinuncia per non aver più la possibilità di offrire il suo vino, letizia degli uomini. Allora s’offre il rovo, accetta la corona e comincia da subito a sacrificare con le sue spine i colleghi rinunciatari.

La massima antica che dice “non c’è nulla di nuovo sotto il sole” mi è parsa ancora una volta valida: finché gli uomini migliori, i docenti, i capitani di industria, i galantuomini e le persone per bene non si mettono in gioco, relegando in second’ordine i loro interessi, la loro quiete e il loro successo, noi in Italia continueremo soltanto ad avere i soliti spinosi e infecondi “rovi” a governarci e continueremo ad essere feriti dalla loro protervia, dall’arroganza e dal loro arrivismo. I colpevoli del malcostume imperante nei palazzi del potere è causato principalmente dai “rovi” ai quali abbiamo offerto la corona, ma anche dalla rinuncia degli onesti, dei capaci e dei galantuomini a porsi a servizio della nazione.

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