Un prete dovrebbe essere per natura e per definizione uno specialista della preghiera.
Nel mondo dell’industria e della tecnica ci sono i manovali che fanno i lavori più grossolani, che non richiedono una preparazione specifica, scuola o diplomi di sorta. Spesso mi capita di vedere alla televisione, in occasione di scioperi o di discorsi sull’andamento dell’economia, le catene di montaggio in cui ogni operatore ha delle mansioni ben definite e svolge interventi quanto mai ripetitivi lungo tutto il suo tempo di lavoro. Per essere un bravo operaio costui non ha che da ripetere con precisione e diligenza le operazioni che gli hanno insegnato che poi, durante tutto il suo turno, sono sempre le stesse. Però in questo nostro mondo, sempre più invaso dalla tecnica e dall’informatica, mondo in cui anche negli ambienti più normali, persino in casa, vi sono strumenti complicati sui quali solo i tecnici è bene che ci mettano le mani, occorre una specializzazione specifica.
Un qualcosa del genere dovrebbe avvenire anche nel campo religioso. Per i semplici fedeli potrebbe bastare il catechismo dell’infanzia, la preghiera mattutina e la sera e qualche aggiornamento generico, ma nulla più. Però, per le problematiche più complesse, la Chiesa prepara i suoi “tecnici”. Gli operai del Regno di Dio fanno lunghi studi di teologia per diventare maestri e specialisti nei singoli settori della morale, della teologia, della biblica o dell’ascetica. Io però temo di non avere le competenze specifiche richieste alla categoria.
Sto leggendo un volume su Papa Wojtyla: “Perché è santo”, scritto dal postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II, quindi da chi ha indagato più profondamente sulla vita interiore di questo uomo di Dio.
I capitoli dedicati al misticismo di questo nuovo beato non solo mi stupiscono per la capacità di concentrazione, per il lungo tempo dedicato alla preghiera, al dialogo incessante con Dio, al suo rifarsi continuamente e in tutto alla volontà del Signore, ma quasi mi turbano per quanto mi sento piccolo, lontano ed incapace di tale misticismo.
Esco quasi sgomento da questa lettura perché mi ridico: “ma che specialista sono della comunione con Dio, del dialogo col Signore, della contemplazione del mistero della Santissima Trinità?” Sono arrivato alla conclusione di essere nel campo della religione quello che è l’omeopatia nel campo della medicina. Sono un uomo che adopera la sua umanità per cantare la gloria di Dio: l’onestà, la libertà, la poesia, il sentimento, l’amore per gli uomini, il dialogo con le creature, il lavoro, lo stupore nei riguardi del Creato! Spero proprio che anche questo empirismo religioso compensi le mie carenze e m’aiuti a risolvere alla buona quello che invece i professori della fede fanno adoperando la loro preparazione teologica!