Non tanto tempo fa, l’11 febbraio, abbiamo celebrato la festa della Madonna di Lourdes.
Al Centro “don Vecchi”, nonostante la presenza di una minuscola comunità delle suore di Nevers, consorelle della veggente santa Bernadette e nonostante che per l’occasione abbiano offerto frittelle e galani a tutti i residenti, la celebrazione è avvenuta in tono minore nella “sala dei trecento” che si trova nel seminterrato del don Vecchi.
Ricordo con infinita nostalgia questa celebrazione, quando ero parroco a Carpenedo; ricordo la fila interminabile dei cento chierichetti in tunica bianca e con in mano il tradizionale flambeau di Lourdes; ricordo la presenza dei quattrocento aderenti all’opera parrocchiale pellegrinaggi e il canto plurietnico del coro che eseguiva la preghiera in lingua congolese – da parte di una morettina, parrocchiana acquisita – in portoghese – da parte di una signora dello stesso coro – e di suor Michela con la sua madrelingua francese parlata nella sua infanzia in Tunisia.
Ma soprattutto ricordo le preghiere e il canto corale che saliva al cielo possente quando, al ritornello, tutti ripetevano “ave, ave Maria!” alzando al Cielo i flambeaux!
Quest’anno dissi, nel mio breve ed infervorato sermone, che festeggiavo la Madonna di Lourdes non tanto per i miracoli che avvengono nella terra benedetta dei Pirenei, miracoli relativamente pochi, ma per il fatto che la Madonna ci disse a Lourdes come nell’infinito numero di santuari a lei dedicati in tutto il mondo, che lei c’è, magari in penombra, vigile, attenta e pronta a darci una mano. Sapere di poter contare sull’amore di questa nostra “Madre”, anche se silenziosa, discreta e in disparte come a Cana di Galilea, è un fatto che conforta e rasserena.
Quest’anno confidai a Maria, assieme agli anziani: «Grazie, grazie, di esserci! Il fatto di sapere che ci sei, ci dà speranza e coraggio!»