Oggi, dopo tantissimo tempo, non completamente per mia volontà, ma a causa delle mie mille magagne, dell’ostinazione di occuparmi fino in fondo di ciò che credo, a torto o a ragione, che sia il dovere del mio ufficio, e forse perché non direttamente interessato ai problemi che si dibattono, ho partecipato, seppur parzialmente, ad un incontro con i confratelli della terraferma.
A causa di un recente e notevole calo dell’udito, ho fatto fatica a capire quello che si diceva, comunque ho provato delle strane sensazioni. Avevo l’impressione di partecipare costantemente, seppur da lontano, alle vicende della mia diocesi, mediante la lettura della stampa diocesana, sentendomi coinvolto nelle problematiche che essa affronta, però questa mattina ho avvertito di essere piuttosto lontano e quasi estraneo ai discorsi e ai problemi affrontati.
Ciò mi è dispiaciuto alquanto e mi ha spinto a rinnovare il proposito, in verità poco attuato in passato, di partecipare più frequentemente a suddetti incontri, pur preoccupato che la mia partecipazione, che non sarebbe mai passiva, possa diventare una voce fuori coro e stonata.
Il mio disagio è cominciato col fatto di non conoscere molti dei presenti – questo è comprensibile perché io appartengo ormai all'”antico testamento” – per continuare nel sorprendermi per le fogge così diverse nel vestire dei preti – ma mi son detto che “l’abito non fa il monaco”- e per finire poi con la cosa più importante: non avvertire un linguaggio che mi è ormai estraneo e delle problematiche che tutto sommato non mi paiono così importanti, non solo per il bene della società attuale, ma anche per il Regno!
Non so se debbo essere in pena o essere contento di parlare ormai la lingua parlata dalla gente e non quella del clero ed essere preoccupato solamente delle cose che io ritengo essere essenziali per trasmettere il messaggio che credo possa salvare gli uomini d’oggi dalla miseria, dalla solitudine e dalla disperazione di una vita fatua ed inconsistente.
Sono tornato a casa preoccupato di sentirmi un po’ estraneo al linguaggio clericale e poco coinvolto dai problemi sofisticati a cui esso si appassiona. Perché oggi la mia preoccupazione è invece quella di seminare speranza, solidarietà e fiducia che Dio ci vuol bene, nonostante tutto, e che Cristo rimane tra gli uomini del nostro tempo anche se sono deludenti e poco riconoscenti per tutto quello che ci dona.