Il sermone che tengo in occasione del funerale dei defunti, penso debba vertere sulle grandi verità che buttano luce sulla vita e sulla morte, sulla misericordia e la paternità di Dio e sulla vita nuova di cui ci ha parlato più volte Gesù nel suo Vangelo. Queste grandi e meravigliose verità sono l’autentica ricchezza e il dono meraviglioso che un prete può e deve offrire in occasione dei giorni del lutto e dell’amarezza.
In queste occasioni ho sempre presente una frase che Bernanos, il grande romanziere d’Oltralpe, mette in bocca al prete protagonista del suo romanzo “Il diario di un curato di campagna”: «Non è colpa mia se vesto da beccamorto, ma io posseggo la gioia e la speranza, che vi donerei per nulla, solamente se voi me la chiedeste».
Io posso donare ancora queste meravigliose verità ed indicare “le nuove frontiere”. Ora sono vecchio, non incontro più né bambini né giovani, non celebro né battesimi né matrimoni, ma mi sento pienamente prete potendo seminare speranza e perfino gaudio in occasione della morte.
Monsignor Vecchi talvolta arrivava a dire: «Partecipiamo alla festa della morte». Io non oso dir tanto, però faccio mia di frequente la confessione di san Paolo e l’invito a vivere in quella cornice: “Ho fatto la mia corsa, ho combattuto le mie battaglie, ho conservato la fede, ora non mi resta che ricevere la corona di gloria”. Offro la lettura positiva della realtà amara della morte, che tutti paventano, con il canto di san Francesco: “Laudato sii, mi Signore, per nostra sora morte corporale”.
Com’è bello ed inebriante dipingere di luce, di speranza e di bellezza perfino la morte; la fede ci offre questa splendida possibilità.
La gente, di solito, ascolta queste parole inusitate ed ho la sensazione che guardi in alto ed intraveda la gloria celeste anche se il coperto di legno della chiesa prefabbricata è tanto basso. La Parola di grazia sfora però facilmente le povere tavole della copertura e ci lascia sognare.