Il mio ascetismo è assai povero, nonostante tanti tentativi. Non è che io manchi ai doveri di studio, di meditazione e di preghiera, che sono inerenti alla vita sacerdotale: ogni giorno recito il breviario, faccio meditazione, celebro messa e dedico qualche tempo alla lettura spirituale. Però, nonostante queste mie pratiche religiose, mi pare – anzi sono certo – di volare molto a bassa quota.
I due nemici più micidiali per la mia crescita ascetica sono: il razionalismo e il pragmatismo.
Il razionalismo: raramente mi abbandono con piena fiducia alle proposte religiose, alle verità che Santa Madre Chiesa mi offre; la lettura dei salmi, le riflessioni di certi Padri della Chiesa, sono così lontane dai miei convincimenti più profondi e, soprattutto, dalla mia cultura, che sono costretto a chiudere gli occhi su infiniti passaggi. Il secondo nemico è di certo il pragmatismo. Io sono del parere dei nostri antichi romani “Verba volant, exempla trahunt”. Le parole incitano, ma solamente i fatti rimangono e trascinano. Certe elucubrazioni mistiche mi rimangono totalmente estranee, non mi dicono niente, anzi talvolta suscitano in me quasi una repulsione. Sento il bisogno assoluto di un messaggio che migliori la vita dell’uomo, che renda più fluidi e positivi i rapporti sociali, che crei ordine e felicità.
La grande verità che mi esalta è quella dell’incarnazione; l’amore e la verità assoluti, cioè Dio che si incarna, che diventa uomo, cittadino del mondo, che si lascia coinvolgere ed illumina la nostra vita e i nostri problemi col suo esempio e la sua testimonianza.
Faccio un’enorme fatica, pur capendo una sua certa utilità, a credere che il buon Dio sia più interessato alle nostre chiacchiere che alla nostra volontà di diventare creature che tentano di avvicinarsi a Lui, a imitarlo, per riportare sulla terra ordine, bontà, amore, giustizia, dignità e libertà. Sarei tentato di affermare che sono molto più interessato al Dio della vita che a quello della religione.