Riuscire a togliere dalla vita gli spazi vuoti per fare più opere buone

Qualche giorno fa stavo percorrendo con passo veloce il “corso” del “don Vecchi”, ossia l’asse viario più importante del Centro, il corridoio dal quale si smistano gli altri corridoi minori sui quali si affacciano gli ingressi del piccolo borgo degli anziani.

Una residente, molto probabilmente influenzata dal fatto che ho subìto una recente operazione chirurgica, mi ha detto: «Ma don Armando, lei è sempre di corsa!» Un dolce rimprovero comprensibile in un luogo in cui tutti vanno piano, spesso appoggiandosi al bastone o al deambulatore, ora molto di moda. «Ho poco tempo, signora», le ho risposto. Difatti ho veramente poco tempo, da un lato perché forse gli impegni che mi prendo sono troppi, e dall’altro lato perché mi pare ovvio che una persona che ha più di ottant’anni deve essere conscia di non avere troppo tempo davanti a sé.

Neanche a farlo apposta l’indomani mi capitò di leggere, durante la messa, quel brano di san Giovanni in cui Gesù dice agli apostoli: «Ancora un poco e mi vedrete, un altro poco e non mi vedrete, perché vado al Padre».

La misura del tempo degli uomini è sempre “un poco”; l’importante però, penso, sia riempire questo “poco” fino all’orlo. Mons. Bosa, mio insegnante di fisica, ci insegnava che se potessimo togliere la distanza che passa fra atomo e atomo, la terra si ridurrebbe ad una sferetta di pochi centimetri. L’importante perciò è togliere dalla vita gli spazi vuoti tra azione ed azione, allora anche nel “poco” ci starebbero un’infinità di opere buone!

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